Ne “Il cuore rivelatore” (in originale The Tell-Tale Heart) racconto breve di Edgar Allan Poe, si narra la storia – scritta in prima persona – di un assassinio.
Nel corso della notte il protagonista entra nella camera della sua vittima addormentata, ed attende. La vittima si rende conto di qualcosa e, nelle tenebre, si può sentire il suo cuore battere dalla paura. Questo aumenta il furore dell’assassino, scrive: “allo stesso modo che il rullare di un tamburo stimola il coraggio del soldato”. Temendo, infine, che il battito possa mettere in allarme i vicini, tanto era forte, il protagonista dopo una breve lotta, soffoca la vittima.
Più tardi nella notte, dei poliziotti arrivano sulla scena ed interrogano il protagonista, il quale si sente al sicuro – ha già smembrato e seppellito il cadavere sotto le assi di legno della casa. Accade, tuttavia, che mentre i poliziotti stanno parlando tra loro, già convinti della versione datagli, il protagonista incominci a sentire il cuore della vittima battere da sotto le tavole di legno. I poliziotti non se ne avvedono, ma questo suono divenuto per il protagonista, e forse per lui solo, troppo alto, lo fa crollare. Egli confessa il suo crimine.
Il racconto è interessante per una serie di ragioni. Vi è, infatti, la presa di coscienza da parte dell’autore di quelle forze psicologiche motivanti – in questo caso, volte all’omicidio – che al personaggio protagonista risultano completamente prive di comprensione. Egli non sa perché mette in opera il suo piano e sembra che nel racconto si dia una spiegazione delle sue azioni solo dopo che il fatto di sangue sia stato consumato. In altre parole Poe riconosce, raccontandocelo in modo vibrante, come ci possa essere uno spazio, a volte significativo, tra il nostro comportamento e la nostra volontà di metterlo in atto. Un distacco dall’esperienza soggettiva del dominio che abbiamo su noi stessi rispetto alla realtà di ciò che mettiamo in atto, spesso ben diversa da quello che avremmo voluto. Nel racconto di Poe, è il cuore ad essere il protagonista di questo divario. Un divario, se vogliamo, tradito dal cuore, che la psicologia moderna sta cominciando ad individuare nel fenomeno della variabilità nella frequenza cardiaca (VFC).
Il cuore batte ad intervalli la cui regolarità varia di pochi millisecondi, questi cambiamenti temporali nel battito, a differenza di essere semplice “rumore” casuale, riflettono lo stato del sistema nervoso autonomo, che è un meccanismo che mobilita un complesso di strutture in cui si comprendono sia aree corticali, che sottocorticali, che ancora, le regioni del tronco encefalico ed, ai fini di questa trattazione, è mediato dall’azione sia del sistema simpatico che parasimpatico.
Entrambi questi sistemi innervano il cuore ed utilizzano strutture, nonché neurotrasmettitori diversi per influenzarne il battito. Il sistema simpatico aumenta la frequenza cardiaca, riducendo la variabilità temporale tra i battiti, mentre l’azione del sistema parasimpatico rallenta il battito, fino a giungere ad uno stato di riposo, momento in cui la variabilità si alza.
In altre parole, osservando la VFC, si puó avere, al momento della rilevazione, una misura predittiva dello stato fisiologico della persona.
Perché dovremmo interessarci a tutto ció, mi chiedete?
Perché il sistema simpatico si attiva in risposta ad una minaccia esterna, la cosiddetta risposta di attacco-fuga, in cui il corpo si prepara – reagendo alla vista, per esempio, di un leone – a fuggire, o a vendere cara la pelle. Se è attivato, il sistema simpatico dà inizio a tutta una serie di effetti sul corpo. Tra questi, le pupille si allargano, sfocando la vista; la saliva abbandona la nostra bocca che si secca; diminuisce la peristalsi intestinale; incrementa la pressione arteriosa, raffreddando mani e piedi, ma aumenta la forza muscolare; ed, infine, si accrescono la frequenza del respiro e, chiaramente, del battito cardiaco.
Quando la minaccia è passata. Il sistema parasimpatico prende il controllo per ridurre l’attivazione fisiologica e portarla a livelli di quiete. Il respiro si calma e così il cuore e la variabilità tra i battiti sale, il sangue torna alle estremità e come per i praticanti tibetani del Tummo si riscaldano le mani e i piedi.
Entrambe queste “risposte” sono delle strategie di regolazione delle limitate risorse disponibili al nostro organismo. Quando si richiede al corpo di attivarsi per fronteggiare una minaccia esterna, le risorse vengono tirate via da tutto ciò che non serve per nutrire i muscoli. Posta la situazione di grande pericolo, tra le cose che non servono in quelle situazioni c’è il cervello, e il cervello viene attivato, alcune aree ridotte a favore di altre, affinché prenda decisioni rischiose, avventate.
Nella vita di tutti i giorni, tuttavia, fronteggiamo costantemente una serie di decisioni, la maggioranza delle quali, riguardano l’inibizione della soddisfazione di un beneficio immediato – vedi, una golosissima torta al cioccolato – per un progetto a più lungo termine – vedi, essere in forma, in salute e attraenti. Quando dei meccanismi cerebrali rilevano la presenza di due obiettivi contrastanti, il sistema reagisce riconoscendo una minaccia interna, in cui, si potrebbe dire che noi siamo il pericolo per noi stessi! Si tratta di quella che Suzanne Segerstrom chiama la risposta di pausa-e-pianificazione. In cui la tendenza è quella di fermarci per decidere qual’è la cosa più giusta da fare.
I meccanismi biologici di queste due risposte sono opposti.
La risposta attacco-fuga è realizzata attraverso l’azione del sistema nervoso simpatico. La risposta di pausa-e-pianificazione da quello parasimpatico. Prendere decisioni non basta, e cioè anche il nostro organismo preso nel suo complesso deve essere inserito nell’equazione e perché vi sia inserito, e che collabori, si richiede che sia nella condizione ottimale di poterci aiutare ad attuare quella che sappiamo essere la decisione giusta. In altri termini, il sistema parasimpatico deve poter essere attivato.
Il fatto che il cadere in tentazione sia un’esperienza umana universale ci dice che è facile che la risposta di pausa-e-pianificazione sia disinnescata.
Affinché possiamo, infatti, meglio essere in controllo dei nostri impulsi è anche necessario che non siamo indeboliti per qualsiasi ragione, vedi un raffreddamento o altro; che il nostro corpo riceva un adeguato numero di ore di sonno; che assuma cibo regolare e possibilmente sano. Inoltre il nostro ambiente in senso lato influisce profondamente su di noi, senza che ce ne avvediamo. L’inquinamento aereo può diminuire la quantità di ossigeno nel sangue dandoci meno energia per inibire i comportamenti indesiderati; l’inquinamento sonoro può innalzare i livelli di attivazione fisiologica; e l’ambiente sociale è anche estremamente influente: se le persone intorno a noi sono ansiose o agitate, anche il nostro corpo si attiverà di conseguenza. Tutte queste circostanze contribuiscono a che al nostro obiettivo a lungo termine – quello che vogliamo davvero – venga preferito uno che ci dia una gratificazione immediata.
E fare decisioni avventate, prive di riflessione o automatiche, può influire seriamente su tutta una serie di decisioni comuni alla vita di tutti i giorni: da quanto spendiamo, a quanto mangiamo, con chi decidiamo di passare la notte… o per chi decidiamo di votare.
Per questi motivi, il VFC a riposo si rivela essere un marker importante.
La ricerca vi associa, infatti, la nostra capacità di autoregolazione – cioè la nostra forza di volontà, il coinvolgimento sociale e la flessibilità psicologica. Le persone con alta variabilità hanno una maggior tendenza a cercare supporto sociale per affrontare le difficoltà e la tristezza, hanno una maggior facilità nel riconoscere le emozioni nonché ad un saper produrre un più complesso ventaglio di espressioni facciali; hanno, inoltre, migliori indici di benessere psicologico, inclusi l’allegria e la calma, emozioni positive di tratto, motivazione al coinvolgimento sociale, e resilienza.
Una ridotta VFC a riposo potrebbe indicare che individui con un ridotto funzionamento del sistema nervoso parasimpatico potrebbero essere incapaci nel sopprimere l’azione del sistema nervoso simpatico, cosa che potrebbe condurre ad un comportamento attivato da quello che il loro sistema identifica come un pericolo, cosa che impatta negativamente sulle relazioni sociali, rendendo più probabile l’emarginazione, dunque l’isolamento e la solitudine. Tutto ciò è forse peggiorato dal fatto che i “pericoli” oggigiorno sono cose immateriali, difficili da uccidere o fuggire. Provate a farlo, per esempio, con una bolletta. Non a caso, ad un ridotta VFC è associata disregolazione cognitiva, affettiva e rigidezza psicologica, nonché gravi fattori di rischio per la psicopatologia – infatti, è riscontrata in pazienti con disturbi depressivi e d’ansia, nonché abuso di alcolici – e per la salute fisica – dove si ritrovano invecchiamento prematuro, malattie cardiovascolari e mortalità fino ad anche tre volte maggiori di quelle ritrovate in popolazioni sane.
Nonostante il sistema nervoso autonomo sia anche detto “involontario”, esiste, tuttavia, una moltitudine di pratiche e trattamenti che possiamo porre in essere volontariamente per regolarizzare la nostra VFC. Senza avere la pretesa di elencarli tutti, se escludiamo tutti i trattamenti efficaci e forse meglio riservati a persone affette da gravi disturbi depressivi, e cioè i trattamenti farmacologici antiipertensivi, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, la terapia elettroconvulsiva, la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva e il biofeedback; si sono dimostrati efficaci: l’esercizio fisico, degli esercizi mirati di respirazione, la meditazione Mindfulness, la riduzione del fumo, e una dieta controllata.
Incidentalmente, queste ultime pratiche influiscono positivamente anche sui ritmi di sonno-veglia, che, come abbiamo visto, impattano positivamente sulla VFC. Inoltre, mi sembrano pratiche di particolare utilità, poiché promuovendo la VFC, rendono più efficiente anche il metabolismo di quelle aree del nostro cervello che ci motivano, dandoci energia e direzione per raggiungere quegli obiettivi che vogliamo veramente realizzare. Obiettivi che possiamo raggiungere quando abbiamo conquistato uno stato di calma profonda e vigile, invece di uno stato di attivazione fisiologica che ci disorienta rispetto a ciò che è più importante – o come direbbe Poe – ci trascina come soldati mossi dal tamtam ossessivo della battaglia.
Il mistero del cuore rivelatore sta diventando, grazie alla ricerca, sempre più chiaro, esso batte incessante, profondo, diverso in ogni momento, il suo tamburo, uno specchio in cui possiamo sapere come stiamo, il nostro benessere fisico e psicologico e forse anche come ci comporteremo; esso batte solo per noi, poiché la sua musica è il suono straordinario e umanissimo della nostra vita.
Postato anche sul blog di informazione politica Botta di Classe…
Riferimenti
Kemp, Andrew H., and Daniel S. Quintana. “The relationship between mental and physical health: insights from the study of heart rate variability.”International Journal of Psychophysiology 89.3 (2013): 288-296.
Lumma, Anna-Lena, Bethany E. Kok, and Tania Singer. “Is meditation always relaxing? Investigating heart rate, heart rate variability, experienced effort and likeability during training of three types of meditation.” International Journal of Psychophysiology 97.1 (2015): 38-45.
Segerstrom, Suzanne C., et al. “Pause and plan: Self-regulation and the heart.” (2012).
van der Zwan, Judith Esi, et al. “Physical activity, mindfulness meditation, or heart rate variability biofeedback for stress reduction: a randomized controlled trial.” Applied psychophysiology and biofeedback 40.4 (2015): 257-268.